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- I CASI DUBLINO ASSISTITI DALL'OIM ROMA IN PUGLIA PRESENTANO UN ELEVATO STATO DI VULNERABILITA'

PROGETTO ANATOLÉ: I “CASI DUBLINO” ASSISTITI DALL’OIM ROMA IN PUGLIA PRESENTANO UN ELEVATO STATO DI VULNERABILITÀ

foto.jpg16  maggio 2013 - Iniziato da poche settimane, il  progetto Anatolè – iniziativa volta a dare supporto psico-sociale a tutti i cosiddetti “casi Dublino” che arrivano giornalmente presso l’aeroporto di Bari  – comincia a fornire dati che permettono di delineare il profilo dei beneficiari delle attività del servizio psico-sociale dell’OIM Roma in Puglia.

 

PROGETTO ANATOLÉ: I “CASI DUBLINO” ASSISTITI DALL’OIM ROMA IN PUGLIA PRESENTANO UN ELEVATO STATO DI VULNERABILITÀ


Le prime rilevazioni del servizio psico-sociale dell’OIM sui richiedenti asilo seguiti a Bari
16 maggio 2013 - Iniziato da poche settimane, il  progetto Anatolè – iniziativa volta a dare supporto psico-sociale a tutti i cosiddetti “casi Dublino” che arrivano giornalmente presso l’aeroporto di Bari  – comincia a fornire dati che permettono di delineare il profilo dei beneficiari delle attività del servizio psico-sociale dell’OIM Roma in Puglia.

“I beneficiari del progetto”, spiega la Project Manager Rossella Celmi, “sono richiedenti asilo portatori di storie di vita particolari e frammentate a causa dei continui spostamenti.”

I richiedenti asilo comunemente definiti “casi Dublino”, sono le persone destinatarie di un provvedimento di rinvio da uno Stato europeo ad un altro competente ad esaminare la loro domanda di protezione internazionale  in base alle regole previste dal Regolamento Dublino II (regolamento CE n. 343/2003)

“La disinformazione da parte dei richiedenti asilo a proposito del Regolamento Dublino”, racconta la Celmi, “è la causa principale di uno stato emotivo caratterizzato da vissuti di ‘costrizione’ relativo al loro rientro in Italia. Spesso i tempi di attesa in Svezia, Svizzera, Belgio dell’identificazione da parte delle autorità italiane sono lunghi, e le persone nel frattempo si adattano al nuovo contesto locale”.

“Quando però sono informati dell’obbligatorietà del ritorno in Italia le reazioni psicologiche possono diventare estreme: atteggiamenti autolesionistici e richieste disperate e inascoltate di non tornare in un paese che ai loro occhi non può offrire né lavoro né uno status di vita dignitoso.”
 
Alle difficoltà legate all’essere un ‘caso Dublino’ si aggiungono i ricordi relativi a persecuzioni politiche e religiose, a torture e violenze subite, alla condizione di vittime di tratta.  “Tutte le persone assistite finora”, spiega la Project manager dell’OIM, “hanno raccontato di soffrire la completa mancanza di risorse economiche e la difficoltà di trovare un lavoro. Senza dimenticare l’impossibilità di potersi riunire con altri familiari e di poter tornare, almeno nell’immediato, nel proprio paese d’origine, da dove sono stati costretti a fuggire.”

Non sono mancati però in questo periodo anche esempi positivi che inducono all’ottimismo: grazie al Progetto Anatolé e all’impegno degli operatori coinvolti, uno dei giovani beneficiari finali del progetto - un afgano fatto rientrare in Italia dalla Svezia e segnalato come caso vulnerabile - ha firmato un contratto di lavoro con un imprenditore della provincia di Bari che, colpito dall’intraprendenza e dall’impegno del giovane, ha deciso di dargli un’opportunità di vita migliore.

“Alla luce di quanto emerso sinora”, conclude la Celmi, “il nostro auspicio è che anche a livello istituzionale si possa cominciare a tener sempre più conto delle particolari vulnerabilità psico-sociali dei ‘casi Dublino’, al fine da poter ulteriormente migliorare le condizioni di vita di persone che son costrette ad affrontare avversità particolarmente difficili da superare.” 

 
Per informazioni:

Flavio Di Giacomo, OIM Roma, Tel: +39 06  44 186 207,  fdigiacomo@iom.int